Ieri sera ho visto in streaming il recente film di Ivan Cotroneo (2016) “UN BACIO” proposto dal quotidiano La Repubblica in concomitanza con la “giornata contro il bullismo”.
L’aspettativa era alta e altrettanto la delusione provata. Non per la regia di Cotroneo che ha saputo mixare in un genere stilistico accattivante musical e scene di vita quotidiana; ma per la scelta dei contenuti che è costruita su micidiali stereotipi.
La vicenda è quella di tre ragazzi (Lorenzo, Antonio e l’amica Blu): sedici anni, stessa classe, stessa scuola, ma con diverse storie personali e familiari caratterizzate da lutti, dolori e conflitti che vanno oltre ai normali scontri generazionali tra adolescenti e genitori.
Tutti e tre finiscono nel circolo vizioso fatto di isolamento (per opera degli altri compagni) che si tramuta in una amicizia a tre esibita “contro” gli altri e sfocia nell’incapacità di gestire i forti sentimenti che nascono tra di loro, fino ad un tragico epilogo.
Cotroneo sostiene che è un film sull’adolescenza, sulle prime volte, sulla ricerca della felicità, sul bullismo e sull’omofobia…. Una sfida impegnativa che, a mio parere, ha perso; perchè giocata sul crinale pericoloso degli stereotipi.
Li elenco.
Il più lieve è quello che descrive un mondo adulto disancorato dal mondo degli adolescenti. Una Istituzione Scolastica totalmente impreparata di fronte al conflitto ed incapace di relazionarsi con gli studenti: uno smacco su tutti i fronti! La Dirigente che si fa calpestare dal padre di Lorenzo; l’insegnante autoritaria e sorda alle richiesta di stabilire col ragazzo un rapporto “personale”; il solito buon bidello disposto a “lasciar correre” se qualcuno infrange i regolamenti… Ma, la Scuola quella reale, è davvero così sprovveduta di buon senso e di competenze? Gli adulti sono messi a tal punto in scacco dai ragazzi? Gli insegnanti sono così impauriti ed incapaci di gestire i propri sentimenti e le relazioni quotidiane?
Un secondo stereotipo è quello classico della divisione di genere: con donne/ragazze oggetto di svalutazione e maschi analfabeti sentimentali. I genitori dei protagonisti, per esempio, sono eccellenti padri nel loro mondo del lavoro ma assenti nella relazione coi figli o incoerenti nell’ educazione perchè incapaci di intercettare i sentimenti dei figli (il padre adottivo di Lorenzo che prima lo difende ed istiga ad oltranza e poi lo castiga; il padre di Antonio cerca la compagnia del figlio ma non coglie il suo vissuto di inferiorità). Le madri (di Antonio e Blu) sono fragili donne chiuse in casa (!) o sembrano sedotte dall’adolescenza dei loro figli (come la madre di Lorenzo) e al contempo la temono, annichilendosi.
Infine Blu e le ragazze della classe: il film le caratterizza come oggetti sessuali da mettere in mostra sui social web e come preda dello stesso mondo adolescenziale maschile che le maltratta fino allo stupro collettivo. Mi colpisce, nel film, che la violenza virtuale e/o concreta messa in opera nel contesto scolastico, fatta di piccoli ma costanti attacchi bullistici, viene staccata dallo stupro -spostato altrove- che Blu subisce nella più cruda violazione dei codici affettivi (il suo ragazzo le fa vedere la scena mentre sono accoccolati in un tenero abbraccio). Come se la brutalità bestiale non nascesse dallo stesso modello culturale imperante nelle relazioni di ogni giorno!
Infine l’ultimo stereotipo. Quello che descrive l’omosessualità come diversità assoluta. Lorenzo è talmente “altro”, nei gesti, nel portamento, nel linguaggio, nell’abbigliamento… che, sin dalle prime battute, non è Lorenzo ma l’omosessuale per eccellenza. Cotroneo non ne risparmia una di caratteristica; ce le infila proprio tutte perchè lo spettatore non abbia dubbi! Colpisce per esempio la superiorità intellettuale e il narcisismo sfacciato che Lorenzo esibisce in un crescendo come prova inconfutabile della diversità del protagonista. Che dire allora dei “secchioni”? Sono tutti “gay”? Questa ed altre equazioni vengono continuamente instillate nel corso del film, con una operazione massiccia di rimozione dell’affanno e della sofferenza quotidiana che i ragazzi gay – quelli reali- devono sostenere nel corso della loro crescita. Quando un ragazzo scopre che i suoi interessi sessuali e le sue scelte sono diverse da quelle etero, non è una passeggiata. E’ un percorso ad ostacoli, senza orientamento e traguardi, fatto quasi sempre nel silenzio e sotto traccia. Non c’è alcuna esibizione, ma timore di perdere appoggi ed amicizie così essenziali per essere riconosciuti degni di amore.
Nell’economia delle relazioni e dei sentimenti, molto forti, che vengono messi in gioco nella trama del film non si salva quasi nessuno. E la protagonista, come pena del suo crimine (quale?), dovrà portarsi nel suo intimo per tutta la vita il trauma di quella vicenda senza poterla elaborare con nessuno.
In completa solitudine.
8 febbraio 2017