Il 18 di maggio era la FESTA DELLA MAMMA.
“Son tutte belle le mamme del mondo quando un bimbo si stringono al cuor, son le bellezze di un bene profondo, fatto di sogni rinuncie e d’amor…” Così recita una vecchia canzone del secolo scorso, quando fare la mamma a tempo pieno era la cosa più naturale del mondo. Infatti era la “vocazione” per eccellenza riservata al genere femminile e dubbi non ce n’erano proprio.
Oggi invece, nella nostra società, l’orologio biologico della fertilità della donna segnala un tempo del tutto sfasato con i suoi bisogni personali, culturali e sociali. La prima domanda che spesso viene formulata è: “Ma quando sarà il momento giusto per fare un figlio?”. E la seconda è: “La mia matermità può aspettare. Potrò essere donna anche se non sarò madre?”
Il tempo passa e il momento del primo concepimento viene rinviato. L’ISTAT ci fornisce due dati. Il primo dice che “le donne diventano madri ad età sempre più mature: più del 6% dei nati ha una madre con almeno 40 anni, mentre prosegue la diminuzione dei nati da madri di età inferiore a 25 anni (l’11,1% del totale). (Fonte: Istat.it “Natalità e fecondità della popolazione residente: caratteristiche e tendenze recenti”). Il secondo è che: 1 donna italiana su 5 rinuncia alla maternità.
Perchè il rinvio? Perchè la rinuncia? Ci sono motivi concreti che ben conosciamo: il lavoro precario, la mancanza o il costo elevato dei servizi per la prima infanzia, la mobilità elevata imposta dal lavoro. Ma poi compaiono anche altre ragioni di tipo culturale e personale. In particolare è il timore di assumere un ruolo “per sempre” a scontrarsi con l’ideologia sociale di oggi. E’ una convinzione diffusa valutare con maggior favore ogni aspetto della vita legato “al presente” e rigettare così i progetti a lungo termine perchè incontrollabili e considerati di incerto valore. In una economia così volatile non investo il mio capitale in BTP a scadenza trentennale!
Il nostro io narcisista, quella parte che ogni giorno si guarda nello specchio delle proprie brame, non potrà che rinviare, rimandando al altro tempo una decisione, lasciando tutto nel limbo dell’incertezza, in un vago desiderio di maternità, il cui filo si riannoda e si spezza in continuazione. Mi capita spesso di raccogliere testimonianze di giovani donne nelle quali prevale l’altalena del voglio e non voglio. Queste stesse manifestano poi una grande paura: quella di non riuscire a riprodurre quel modello di mamma del secolo scoso; una mamma a tempo pieno, generosa ed incurante di se stessa, che è ben presente nel passaggio trigenerazionale. Insomma la trentenne di oggi che ha una madre nata negli anni 50, ma che è stata accudita da una nonna -in genere è quella materna- degli anni 20… Una nonna tutta per la lei, è un modello interiorizzato col quale deve fare i conti per trovare un equilibrio fra i suoi bisogni personali e quelli di un figlio sognato.
Certo gli impedimenti di sistema (Welfare) sono peggiorati con la crisi e vanno rimossi con intelligenza e creatività (risorse umane familiari, scambio di prestazioni su base temporale invece che monetaria, nidi familiari…), il nodo psicologico è più difficile da sciogliere. Non esiste un “manuale” che possa andar bene per tutte le donne. Per fortuna, il modo di essere madre non è unico, perchè cambia in base alla cultura, al patrimonio di conoscenze materiali e spirituali, al proprio carattere, all’ambiente sociale… tutto ciò in relazione alle esperienze vissute nella propria storia di figlia.
Ecco, scegliere di diventare madre, non vuol dire spostare montagne o fare salti nel buio. Non è neppur necessario abiurare la vecchia fede nella madre tradizionale. Il processo psicologico indispensabile è quello di svincolarsi dalla propria storia personale. Dopo averla ripensata e accolta con onestà ed affetto.